venerdì, Novembre 22, 2024

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Kazu Miura, altro che meteora

Considerato una delle tante meteore transitate per il calcio italiano ai tempi in cui questo era il punto di riferimento mondiale per ogni appassionato e professionista, Kazu Miura è stato un talento eccezionale e uno straordinario professionista. Un idolo che ancora oggi dimostra di amare il gioco che tanto ama onorandolo ogni giorno ed esaltando i tifosi nipponici.

Il Dizionario Italiano definisce il significato di “Meteora”, quando si parla di artisti o uomini di sport, come “detto di persona che ha avuto grande fama per poco tempo”. Per molti appassionati di calcio del Belpaese, Kazuyoshi Miura, primo giapponese a calcare un campo di Serie A, è stato una meteora: una fugace esperienza, appena una stagione al Genoa, e poi la scomparsa dai radar.

Molto si ironizzò su di lui e sulle sue presunte capacità tecniche, e prima dell’arrivo di Hidetoshi Nakata – il miglior calciatore proveniente dal Sol Levante mai visto – si continuò a pensare ai calciatori giapponesi come a delle vere e proprie macchiette, degli esaltati cresciuti con il mito di “Holly & Benji” senza una vera formazione tecnica.

Eppure per molti appassionati nipponici Kazu Miura è stato il più grande calciatore giapponese di sempre, e questa è la sua storia.

Gli inizi in Brasile

Kazu nasce a Shizuoka, una delle città più importanti del Giappone, il 26 Febbraio del 1967. All’anagrafe risulta Kazuyoshi Naiya: suo padre è infatti il controverso Nobu Naiya, personaggio implicato con la yakuza e dal quale per ovvi motivi Kazu cercherà di “smarcarsi” prendendo il cognome della madre.

Fin da bambini lui e il fratello maggiore Yasutoshi mostrano una grande passione per il calcio, ma il campionato locale è ben poca cosa: squadre formate da dipendenti delle più grandi aziende del Paese (Nissan, Hitachi, Toyo, Mitsubishi) si scontrano su campi spelacchiati nel più completo dilettantismo, esauritasi in breve tempo la spinta arrivata dall’incredibile medaglia di bronzo conquistata dalla Nazionale alle Olimpiadi di Messico ’68.

Il Giappone infatti da sempre preferisce il baseball, e così i giovani fratelli capiscono che se vogliono diventare calciatori a tutti gli effetti devono emigrare: quando Kazu ha 15 anni e Yasu 17 eccoli volare nella terra promessa del calcio, il Brasile, decisi a inseguire il loro sogno. E’ il 1982.

È curioso notare come la storia di Kazu sia identica a quella di Tsubasa, da noi “Holly Hutton”, il protagonista del famosissimo manga sul calcio “Holly & Benji” uscito appena l’anno precedente (1981) e che vede il talentuoso ragazzino protagonista, una volta compiuti i 15 anni, andare proprio in Brasile per diventare un vero calciatore, finendo per vestire proprio la maglia del Santos.

Come Holly Hutton

Forse è un caso, o forse Miura ha semplicemente preso a prestito un sogno facendolo suo. Fatto è che Kazu entra a far parte del Clube Atlético Juventus, mentre Yasu dopo alcune squadre minori finisce proprio al Santos: è un ingaggio, quello del più grande dei fratelli nipponici, più pittoresco che tecnico, ed in effetti Yasu giocherà pochissimo per quasi due stagioni per poi tornare in patria.

La “scuola brasiliana” è comunque servita, e infatti Yasu Miura troverà subito posto in un club e assisterà da protagonista alla nascita del professionismo in Giappone avvenuto nel 1992. Kazu sostituisce il fratello al Santos, ma purtroppo è qui che la sua storia differisce da quella di Holly Hutton. Mentre nel fumetto Holly conquista il pubblico brasiliano diventandone un idolo, per Kazu ci sono appena due scampoli di gara in una stagione prima del passaggio al Palmeiras, che lo acquista però solo per partecipare ad un torneo in Giappone.

Sogno e realtà

Miura insomma è una macchietta, ma lavora duro per migliorarsi e per apprendere ogni giorno qualche segreto, qualche finezza: la sua cultura, tipicamente giapponese, gli dice che lavorare duro e con impegno prima o poi pagherà. C’è tempo per una breve esperienza nel Club Matsubara, squadra fondata da un nippo-brasiliano, e poi arriva l’occasione che attendeva: nel 1988, ventunenne, partecipa alla Copa União, l’allora campionato brasiliano, con la maglia del misconosciuto “XV de Jau”.

Non solo Kazu gioca, ma gioca molto bene, meritando gli applausi dei tifosi e della critica, che lo premia come “terza miglior ala sinistra del torneo”. L’anno successivo approda al Coritiba, con cui vince, giocando un bel numero di gare, il campionato di Paranà, e infine ritorna al Santos. Stavolta non è più una macchietta, ma un calciatore vero o quasi, e segna 3 reti in 11 gare prima di capire che è il momento di tornare in Giappone.

Big in Japan

Numerosi sono i motivi per cui Kazu torna a casa: è ormai imminente il lancio del primo campionato di calcio professionistico giapponese, e la sua storia è ormai conosciuta da tutti. E poi, forse, c’è anche una specie di saudade in salsa nipponica, che fa si che dopo dieci anni lontano da casa Kazu desideri tornare da protagonista.

Ed in effetti è proprio ciò che avviene, con il facoltoso Yomiuri che lo acquista insieme ad altre stelle locali tra cui il fratello Yasu: la politica dispendiosa del club paga, lo Yomiuri vince gli ultimi due campionati semi-professionistici, e quando nel 1992 il calcio diventa “mainstream” anche in Giappone conquista i primi due titoli “pro”, pur cambiando nome in Verdy Kawasaki.

Kazu è a quel punto la stella del Giappone, il giocatore più conosciuto e sicuramente tra i migliori dal punto di vista tecnico: partecipa a numerosi programmi tv, diventa una specie di rock-star, l’idolo di moltissimi ragazzini e una pittoresca presenza fissa in qualsiasi partita “All-Star” venga disputata in giro per il globo, cosa che gli da occasione di conoscere personalmente molti di quelli che fino a qualche anno prima erano per lui semplici idoli.

Destinazione Italia

Eppure Kazu ha un cruccio: il mondo non conosce la sua bravura, il mondo ancora sorride quando si parla di calcio in Giappone. Il mondo deve sapere. La pensano così anche i suoi numerosi sponsor, ed è così che nell’estate del 1994 viene fuori un’idea a dirr poco ambiziosa: Kazu Miura sarà il primo calciatore giapponese nella storia della Serie A, e il suo club sarà il più antico del paese, il Genoa.

L’artefice dell’ingaggio di Miura è Aldo Spinelli, all’epoca Presidente del Grifone e attualmente proprietario del Livorno: un uomo di calcio, quindi, che oltre a farsi intrigare dalla scommessa dal punto di vista tecnico fiuta anche (cosa ai tempi non comune) l’affare dal punto di vista commerciale.

Miura infatti non verrà pagato una lira dal Genoa, ma direttamente dai suoi sponsor, che oltretutto verseranno un bel po di Yen per ogni partita in cui Kazu verrà schierato in campo. Uno stuolo di giornalisti segue Kazu nel suo sbarco in Italia, ed è qui che cominciano le prime leggende metropolitane.

Infatti per come ci verrà raccontata la storia, Miura tutto è tranne che un abile calciatore, ma in pratica un signor nessuno con alle spalle ricchi sponsor: un mito da sfatare, visto che appena l’anno prima ha trascinato la propria Nazionale alla conquista della Coppa d’Asia (successo mai raggiunto prima) con prestazioni che gli sono valse il premio di Miglior Calciatore Asiatico dell’Anno.

Un fallimento annunciato

Certo si tratta di una scommessa dal punto di vista tecnico e tattico, in quello che è ai tempi il campionato più bello (e difficile) del mondo, ma non più di decine di altri improbabili stranieri giunti da lidi calcistici ben più rinomati, e tutto si può dire tranne che si trovi in una buona squadra.

Infatti, nonostante l’ottimismo iniziale dello stesso Miura, il Genoa si rivela presto ben poca cosa, nonostante nelle sue fila giochino personaggi come Tacconi, Ruotolo e Van’t Schip. In attacco parte ovviamente come riserva, avendo davanti l’idolo locale Skhuravy e due buone punte come Marco Nappi e Michele Padovano.

Il “Professore” Franco Scoglio, allenatore nella prima parte della stagione, lo vede pochissimo e lo fa giocare solo quando richiesto dalla società: apparizioni che durano pochi minuti e in cui Miura appare un pesce fuor d’acqua, con compagni che, più che non cercarlo, sembrano quasi evitarlo e con una smania di strafare talmente grande da portarlo a commettere strafalcioni in serie.

Anche quando Scoglio viene esonerato e il minutaggio aumenta le cose non migliorano, anzi: è un campionario di tiri sbilenchi e altissimi, stop sbagliati, dribbling testardi e inutili ed un’intesa con i compagni che non decolla mai.

Kazu Miura, un vero Samurai

Eppure chi ha visto anche solo dei filmati di Miura precedenti al 1994 può capire da solo che tutti quelli errori non possono derivare da deficienze tecniche: è pura e semplice voglia di strafare, di tentare la giocata, il colpo, il numero, che zittisca tutti, che faccia ricredere gli scettici.

Intanto sono arrivate tutte le rudezze del calcio italiano, compresa una brutta entrata aerea di Franco Baresi che gli è costata una frattura al volto e oltre un mese di stop, episodio che ci dice molto del carattere determinato di Kazu. L’infortunio, infatti, si verifica nei primi minuti di una sfida a San Siro, ma è solo alla fine del primo tempo che il giapponese – quasi “obbligato” dallo staff medico – alza bandiera bianca.

Insomma l’impegno c’è, ma sembra non succedere mai niente che cambi la storia. E invece qualcosa succede, e proprio nel “Derby della Lanterna”, la storica sfida tra le due squadre di Genova. Siamo a dicembre, e nel freddo generale ecco che arriva la sorpresa che nessuno si aspetta. Su una respinta della difesa avversaria, i rossoblù calciano lungo un pallone, che viene spizzicato di testa finendo proprio dalle parti di Miura, che velocissimo anticipa tutti e tocca il pallone quel tanto che basta per depositarlo in rete.

È l’1-0. È gol di Miura.

Una gioia a metà

Ma, come sottolineato poco fa, quell’anno è il Genoa nella sua completezza a non esserci. Appena un minuto dopo Vierchowood pareggia per la Samp, quindi segnano anche Lombardo e Maspero, rendendo inutile il gol finale di un giovane Fabio Galante.

Nelle partite successive per ben tre volte in tre gare Miura segna, ma ogni volta il gol viene annullato per fuorigioco, e intanto il Genoa perde e perde ancora. Il Grifone si trova in zona retrocessione quando Kazu lo lascia temporaneamente per disputare la Kirin Cup in Giappone, cosa peraltro ben conosciuta da tutti ai tempi della firma del contratto.

Sarebbe rimasto volentieri in Italia, a giocarsi la sua occasione, ma chi può dire di no agli sponsor? Così parte per la Kirin Cup, la gioca da protagonista e la vince con il suo Giappone, mentre il Genoa continua a soffrire: viene licenziato anche Marchioro, che era subentrato a Scoglio, e in panchina ci va Claudio Maselli. Il quale, prima di tutto, tenta di rinforzare la difesa e il centrocampo schierando il solo Skhuravy in attacco.

Finale amaro

Così, quando torna, Miura capisce che per lui non ci sarà più spazio. E infatti non ci sarà, anche se ciò non aiuterà il Genoa, che sarà retrocesso dopo uno spareggio perso contro il Padova dove – ironia della sorte – gioca Alexi Lalas, primo americano nella storia del calcio e anche lui come Miura figlio di un calcio minore.

Kazu torna in Giappone tra le ironie del pubblico italiano, che in effetti fu troppo duro con lui: vero è che sul campo combinò poco, ma l’impegno e la professionalità non mancarono mai da parte di questo ambizioso giapponese, che fece guadagnare soldi e fama ad un Genoa comunque veramente male attrezzato per salvarsi.

Un ragazzo che aveva lasciato il suo Paese, dove era un idolo, per mettersi in gioco in Italia – rinunciando anche a metà del suo (ai tempi) faraonico stipendio, equivalente a tre miliardi e mezzo di lire. Un calciatore sfortunato – l’infortunio, il gol nel derby rivelatosi inutile, i gol annullati per fuorigioco – e tradito dalla voglia di strafare e di smentire i maligni che definivano lui e i suoi connazionali inadatti a giocare a calcio sul serio.

Il ritorno in Giappone

Tornato in Giappone Miura torna a fare quel che sa fare meglio, e cioè vincere, anche se nel frattempo i Verdy Kawasaki si sono indeboliti, dopo anni di cattiva gestione che non ha svecchiato la squadra.

Trascina comunque i compagni alla vittoria della Coppa dell’Imperatore, raggiunge i 100 gol con la maglia del club e trascina la Nazionale alla prima storica qualificazione al Mondiale di Calcio, anche se il CT Takeshi Okada non gli sarà riconoscente non convocandolo per la rassegna stessa, dove il Giappone perderà seppur di poco tutte le gare del suo girone.

La stagione successiva alla delusione per il Mondiale mancato, Miura (che ha ormai 32 anni) tenta un avventura addirittura in Croazia: la sua Dinamo Zagabria vincerà il campionato, ma per lui lo spazio sarà davvero esiguo e l’ennesimo ritorno in Giappone doveroso.

Una nuova giovinezza

Ritrova la verve nei Kyoto Purple Sanga, segnando un gol ogni due gare e guadagnandosi un nuovo ingaggio nei Vissel Kobe, dove rimane per ben 5 stagioni ritrovando come compagno persino il fratello Yasu prima di decidere di ritirarsi, trentottenne, nel 2005.

Apre una scuola calcio, ma il richiamo del campo è troppo forte, ed è così che pochi mesi dopo è di nuovo in campo: la maglia è quella dello Yokohama FC, seconda divisione giapponese.

Ed è qui che Kazuyoshi Miura gioca ancora, dopo una breve parentesi, peraltro ben remunerata e con buone prestazioni, nel Sidney FC, l’attuale squadra di Alessandro Del Piero.

Alle soglie dei 47 anni questo “giovane vecchietto” si diverte ancora ad inseguire un pallone su un campo da calcio, togliendosi anche lo sfizio di segnare di tanto in tanto pur avendo ovviamente arretrato la sua posizione in campo. Nel tempo libero gestisce un museo a lui stesso dedicato, dove vende materiale che lo riguarda inclusi libri scritti da o su di lui, oltre a giocare nella Nazionale di Calcio a 5 giapponese. La sua popolarità non è in declino, anzi: appare persino tra i protagonisti di un episodio dell’anime “Detective Conan”, e i suoi cimeli vanno a ruba tra gli appassionati nipponici.

Come Neymar

Ed è così che ha descritto il suo ultimo gol, avvenuto lo scorso luglio nella vittoria per 3 a 1 ottenuta dal suo Yokohama FC contro il Tochigi.

“Ho ricevuto un bel passaggio. Poi ho fatto come Neymar. Ho visto tante volte le sue partite. Il mio tiro di sinistro è stato proprio come il suo.”

Perché, quando si è delle leggende, non si può essere poi troppo modesti.


12/03/2017 (Aggiornamento) – L’ultimo Immortale

“King Kazu” non ha ancora mollato. Anzi.

Continuando a vestire la maglia dello Yokohama ha superato il mezzo secolo di vita e lo ha festeggiato, due settimane più tardi, con un bel gol rifilato al Thespa Kusatsu.

Un evento che gli ha permesso di entrare nella storia come “il più anziano calciatore al mondo a segno in un campionato professionistico”. Traguardo mica da poco, e non è detto che sia finita qui…


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Simone Cola
Simone Colahttps://www.uomonelpallone.it
Amante del calcio in ogni sua forma e degli uomini che hanno contribuito a scriverne la leggenda

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